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IMMAGINI

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Target: cercatori di Samadhi

Durante la pratica è molto importante rimanere connessi al proprio respiro. Perché ti guida, guida i  tuoi movimenti, li rende fluidi, connette le forme mutevoli del corpo al fluire dello spirito.

La chiamano meditazione in movimento: mentre muti forma, passi da un’asana ad un’altra, il corpo si mobilizza e i sensi si allertano, si sensibilizzano, ricevono informazioni dall’esterno e le portano dentro, verso il centro. Nella meditazione la chiamano consapevolezza. 

I piedi affondano nel tappetino, la pelle nuda avverte l’aria attorno che diventa quasi palpabile, gli occhi focalizzano l’attenzione su punti precisi, le orecchie ascoltano. Inevitabilmente nel corpo interno penetra la voce del tuo stesso respiro, che continua a fluire e a massaggiare i pensieri.
E’ lo stesso respiro che ti rapisce senza che tu te ne accorga, che ti tranquillizza, mette il muto alla mente. Ti culla nel tuo stesso lasciarti andare. Perché ciò che all’inizio è resistenza, piano diventa comodità.
La fatica che ti autoimponi diventa ricerca dell’io, il battito accelerato dello sforzo si trasforma in sudore che la pelle dissolve all’esterno mentre respiri.
In tutto questo, mentre alleni il tuo corpo, lo distendi, lo rafforzi. A volte ci combatti cocciutamente, a volte lo sai rispettare con gentilezza. 
E a volte capita che arrivino delle illuminazioni. Come una lampadina che si accende, arriva quella  che Morelli chiama Immagine. Arriva chissà da dove, come un lampo estivo, a rispondere alle tue domande. Le stesse domande che avevi lasciato da parte perché a pensarci e ripensarci non eri riuscito a capirci nulla.
Le Immagini sono come una luce che si accende su un angolo del tuo buio palcoscenico, sono come un chiarore nella nebbia. All’improvviso sai dove andare. All’improvviso sai quale nome dare alle tue emozioni, sai con chi devi parlare e come sarebbe congeniale farlo, vedi chiaramente le carte rivoltate sul tavolo da gioco. Il percorso è chiaro.

La soluzione è nelle tue mani dopo tanto tumulto. Così. Semplicemente, all’improvviso.

La meraviglia arriva quando inizia a capitare una, due… tre volte, durante la tua pratica. Nella tua stanzetta, sul tuo tappetino, hai deciso di prenderti un pò di tempo e regalartelo per respirare. E mentre fai dono di ossigeno al tuo corpo, la tua mente si placa. E quando si placa, quando non sei più in grado di pensare, e nemmeno te ne stai accorgendo, dentro la tua pratica scopri la tua palla di cristallo. Le tue risposte sono lì, pronte per te, dentro di te. Osservando ciò che accade e sembra ripetersi sorprendentemente, scopri che intestardirsi sulle domande diventa faticoso, aumenta velocemente il tuo vortice di turbamento interiore, offusca la tua capacità di giudizio. 
Impari lentamente che lasciare andare potrebbe essere la soluzione. Combattere meno nel momento stesso in cui ti si presenta il problema, per provare a fidarti del fatto che la risposta l’avrai esattamente quando sarai in grado di comprenderla. 
Molto liberatorio. Un pò strano. Decisamente difficile.
Perché la domanda è: quanto difficile è affidarsi? Quanto siamo davvero disposti a lasciare la presa? Siamo in grado di lasciare la volontà di voler controllare tutto e di volerlo fare subito?
Affidarsi è più ancora di fidarsi. Aprire il cuore e permettere che le cose siano come devono e non come abbiamo progettato non è esattamente una questione naturale.


L’unica fatica reale che dovremmo fare è combattere l’inerzia e disciplinarci a srotolare il nostro tappeto ogni giorno. Il resto si chiama coraggio. 
Affidati al flusso, abbi pazienza con te stesso, scopri chi sei e poi resta a guardare. 
L’universo risponderà.

Om Shanti.