Articoli

IMMAGINI

Tempo di lettura: 3 min 21 sec
Target: cercatori di Samadhi

Durante la pratica è molto importante rimanere connessi al proprio respiro. Perché ti guida, guida i  tuoi movimenti, li rende fluidi, connette le forme mutevoli del corpo al fluire dello spirito.

La chiamano meditazione in movimento: mentre muti forma, passi da un’asana ad un’altra, il corpo si mobilizza e i sensi si allertano, si sensibilizzano, ricevono informazioni dall’esterno e le portano dentro, verso il centro. Nella meditazione la chiamano consapevolezza. 

I piedi affondano nel tappetino, la pelle nuda avverte l’aria attorno che diventa quasi palpabile, gli occhi focalizzano l’attenzione su punti precisi, le orecchie ascoltano. Inevitabilmente nel corpo interno penetra la voce del tuo stesso respiro, che continua a fluire e a massaggiare i pensieri.
E’ lo stesso respiro che ti rapisce senza che tu te ne accorga, che ti tranquillizza, mette il muto alla mente. Ti culla nel tuo stesso lasciarti andare. Perché ciò che all’inizio è resistenza, piano diventa comodità.
La fatica che ti autoimponi diventa ricerca dell’io, il battito accelerato dello sforzo si trasforma in sudore che la pelle dissolve all’esterno mentre respiri.
In tutto questo, mentre alleni il tuo corpo, lo distendi, lo rafforzi. A volte ci combatti cocciutamente, a volte lo sai rispettare con gentilezza. 
E a volte capita che arrivino delle illuminazioni. Come una lampadina che si accende, arriva quella  che Morelli chiama Immagine. Arriva chissà da dove, come un lampo estivo, a rispondere alle tue domande. Le stesse domande che avevi lasciato da parte perché a pensarci e ripensarci non eri riuscito a capirci nulla.
Le Immagini sono come una luce che si accende su un angolo del tuo buio palcoscenico, sono come un chiarore nella nebbia. All’improvviso sai dove andare. All’improvviso sai quale nome dare alle tue emozioni, sai con chi devi parlare e come sarebbe congeniale farlo, vedi chiaramente le carte rivoltate sul tavolo da gioco. Il percorso è chiaro.

La soluzione è nelle tue mani dopo tanto tumulto. Così. Semplicemente, all’improvviso.

La meraviglia arriva quando inizia a capitare una, due… tre volte, durante la tua pratica. Nella tua stanzetta, sul tuo tappetino, hai deciso di prenderti un pò di tempo e regalartelo per respirare. E mentre fai dono di ossigeno al tuo corpo, la tua mente si placa. E quando si placa, quando non sei più in grado di pensare, e nemmeno te ne stai accorgendo, dentro la tua pratica scopri la tua palla di cristallo. Le tue risposte sono lì, pronte per te, dentro di te. Osservando ciò che accade e sembra ripetersi sorprendentemente, scopri che intestardirsi sulle domande diventa faticoso, aumenta velocemente il tuo vortice di turbamento interiore, offusca la tua capacità di giudizio. 
Impari lentamente che lasciare andare potrebbe essere la soluzione. Combattere meno nel momento stesso in cui ti si presenta il problema, per provare a fidarti del fatto che la risposta l’avrai esattamente quando sarai in grado di comprenderla. 
Molto liberatorio. Un pò strano. Decisamente difficile.
Perché la domanda è: quanto difficile è affidarsi? Quanto siamo davvero disposti a lasciare la presa? Siamo in grado di lasciare la volontà di voler controllare tutto e di volerlo fare subito?
Affidarsi è più ancora di fidarsi. Aprire il cuore e permettere che le cose siano come devono e non come abbiamo progettato non è esattamente una questione naturale.


L’unica fatica reale che dovremmo fare è combattere l’inerzia e disciplinarci a srotolare il nostro tappeto ogni giorno. Il resto si chiama coraggio. 
Affidati al flusso, abbi pazienza con te stesso, scopri chi sei e poi resta a guardare. 
L’universo risponderà.

Om Shanti.

IL MIO ASHTANGA

Tempo di lettura: 3 minuti
Target: Ashtanga Lovers

99% di pratica, 1% di teoria.

Qualche anno fa ero in vacanza in Francia, in un paesino molto conosciuto per il freeride.
Dopo un viaggio lunghissimo e sotto la neve, ero affaticata, così decisi di fare quattro passi verso il centro per rilassarmi prima di cena. Mi imbattei in una coda di gente con il proprio tappetino arrotolato sotto l’ascella come fosse una baguette, che aspettava al freddo all’esterno di una piccola Shala dove una lezione di yoga stava terminando.
Sbirciai incuriosita nelle luce tenue e calda che veniva da dentro, e ci vidi un maestro dal sorriso gentile che mi faceva cenno con la mano di entrare.
In un misto di anglofrancese gli chiesi se si poteva partecipare alle lezioni e lui rispose: “bien sur”, domani mattina alle 8 c’è una lezione Mysore di Ashtanga.
“Cavolo! Io non so la sequenza” pensai, e quasi mi avesse letto nel pensiero, sorridendo mi disse che se per caso non conoscevo la sequenza a me ci avrebbe pensato lui.

E così fece.
E non solo quel giorno. Perché lui continua a “pensare a me” anche oggi, dopo molto anni.
Se realizzo che fortuna ho nell’averlo incontrato, mi rendo conto che è proprio vero: il Maestro arriva a te quando sei pronto.
È successo allora, è successo anche un mese fa.


Ripensando a quella sera, ancora mi si stampa un sorriso enorme sulla faccia.
Perché se oggi pratico con costanza l’Ashtanga, nonostante tutto, è merito suo.

L’ashtanga si fa così.
Il Vinyasa non è un’opzione. Chakrasana non è un’opzione.
Così si fa, è tutto scritto nero su bianco, così deve essere fatto. E quello che ti viene richiesto è esattamente il tuo meglio, il meglio che puoi fare in quel momento, niente di più. 
Non è importante dove vai, quante posture fai, è una questione di focus, di consapevolezza, di presenza. 
“Just do one breath at the time”, questo me lo ha detto anche qualche giorno fa, mentre lottavo sul tappeto di cotone per non scivolare.
Quando fai l’Ashtanga, fai l’Ashtanga. Non ci sono scorciatoie. Ci sono regole ferree da seguire. Niente vie di mezzo, niente posture in saldo, niente sconti.
Fissa quella cosa, fissa il respiro. Punto. Questo è lo yoga. (cit. Hubert de Tourris).

All’epoca non capivo. Come tanti ero attratta dalle forme scenografiche che il mio corpo riusciva ad assumere, non senza uno sforzo immane. 
Mi interrogavo spesso sul perché tornassi ancora a fare una pratica così dura che mi stava regalando dolori pungenti ai muscoli e dubbi amletici su quanto potesse realmente far bene ad una schiena con due fratture.
L’ho abbandonata spesso, a favore di pratiche più leggere, per scelta o per paura o, ancora, per necessità.
Mi ha relegato a letto per tre mesi per aver forzato troppo e troppo presto. Mi ha prosciugato ogni energia.
Ma come ha detto Hubert quel giorno, “però continui a tornarci”.
Eh sì. Continuo a tornarci, mannaggia.
La pratica dell’Ashtanga Yoga ha in sé un fascino profondo, di un insegnamento duro e puro che deriva da così lontano, e che una volta che ci sbatti il naso dentro, non puoi fare a meno di amare.
Con le regole sono sempre stata brava. Magari brontolavo e giravo borbottando per la mia comfort zone dicendone di ogni, ma le ho sempre seguite da primetta della classe.
Lo stesso vale per le cose difficili. Mi lamento sempre che tutto è complicato e poi vado a scegliermi inevitabilmente la cosa più lunga e complessa da seguire.
Ma non credo sia masochismo. Credo sia più una sorta di volersela guadagnare.
Così è per me l’Ashtanga. Vorrei sapermi guadagnare l’onore di poter stare su quel tappeto con impegno e dedizione, fiera del fatto non tanto di saper praticare una o l’altra funambolica postura, ma di comprendere che l’evoluzione di chi io sono è solo in mano mia. 
Fiera di aver fatto della mia patologia la mia forza. Consapevole che solo la forza creata SUL tappeto sostiene i miei giorni FUORI da quel tappeto.


Lino Miele dice che non si insegna la postura, si insegna il rapporto, l’incoraggiamento, il capire. Ognuno deve trovare la propria chiave. E se non c’è sforzo, se non c’è l’impegno sufficiente, se non si lavora col dolore, sul dolore, non ci può essere il beneficio.  Non si impara a gestire niente. Solo così la mente diverrà lucida, pulita, precisa. 


Il “mio” Ashtanga mi ha insegnato il rispetto, la non violenza, la pazienza. Tutto a scapito della mia schiena e di qualche mal celata crisi di nervi. :-))
Il mio Ashtanga di oggi mi sta insegnando a lasciare andare. 
Sei pronto a scoprire cosa deve insegnarti il tuo?
Allora “fai la tua pratica, e tutto verrà” (Sri K. Pattabhi Jois)

Auguro ad ognuno di voi pace, salute e serenità.